accumulate incalcolabili ricchezze. Un soldato, senza
essere visto da nessuno, gettò una torcia accesa
attraverso una porta scardinata e in un baleno l’intera
costruzione si incendiò. Il fumo accecante e denso
costrinse gli ufficiali a ritirarsi e così il maestoso tempio
fu abbandonato alla sua sorte.
Se per i romani uno spettacolo simile era spaventoso,
immaginate che cosa potesse rappresentare per gli ebrei!
La cima del colle che dominava la città sembrava il
cratere di un vulcano. Gli edifici crollavano l’uno dopo
l’altro con un fragore spaventoso ed erano inghiottiti
dalla voragine ardente. I tetti di cedro sembravano
altrettante lingue di fuoco; i pinnacoli scintillavano,
simili a fasci di luce rossa; le torri emettevano lunghe
volute di fumo e di fiamme. Le colline circostanti la
città erano illuminate a giorno, mentre gruppi di persone
contemplavano sgomente i progressi della devastazione.
Le mura e le parti più elevate della città brulicavano di
volti, alcuni pallidi per l’angoscia della disperazione,
altri animati da un’inutile sete di vendetta. Le grida dei
soldati romani che fuggivano e il lamento degli insorti
che morivano fra le fiamme, si univano al fragore della
conflagrazione e al rombo delle grosse travi che
crollavano. Gli echi dei monti rimandavano e ripetevano
le grida disperate della popolazione. Ovunque, le mura
risuonavano di gemiti e di lamenti: uomini che
morivano di fame, raccoglievano le loro ultime forze per
emettere un estremo grido di angoscia e di desolazione.
La strage che avveniva all’interno era più spaventosa
dello spettacolo esterno. Uomini e donne, vecchi e
giovani, insorti e sacerdoti, chi combatteva e chi
implorava pietà, venivano trucidati in una indiscriminata
carneficina. Siccome, il numero degli uccisi era
superiore a quello degli uccisori, i legionari romani per
portare a termine la loro opera di sterminio furono
costretti a calpestare mucchi di cadaveri”.3.
Dopo la distruzione del tempio, l’intera città cadde
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